Grisendi si difende: «Anche secondo
la legge non possono obbligarmi ad uccidere questi esemplari»
Multati per aver rilasciato un pesce siluro
Il presidente si autodenuncia - Arriva un verbale da 102 euro
"Multati per non aver ucciso un animale!". E’ con questo slogan, stampigliato sulle magliette, realizzate per l’occasione, che il presidente e i componenti del Gruppo Siluro Italia hanno accolto ieri la guardia provinciale giunta ad Isola Serafini per stilare il verbale di contravvenzione, visto che nei giorni scorsi hanno rilasciato in acqua un pesce siluro dopo averlo catturato. "Era un esemplare lungo 2 metri e 42 centimetri e del peso di 103 chilogrammi - ha spiegato il presidente del Gruppo Siluro Italia Yuri Grisendi -. Al termine delle operazioni di misurazione, pesatura e fotografia, con tutte le precauzioni del caso, l’ho rimesso in acqua. Era ancora vivo e vegeto". Il nobile gesto è costato a Grisendi un verbale da 102 euro. Per ora il presidente del Gruppo Siluro non pagherà la multa, i legali dello studio Meazzi e Cigognini di Casalpusterlengo gli offriranno una consulenza gratuita per contestare la sanzione. "Sono stato io stesso, di mia spontanea volontà, - ha spiegato Grisendi -a presentarmi davanti ad un ufficiale della Polizia provinciale, in quanto contattato per chiarire i motivi della mia azione. Premetto che il rilascio del pesce siluro non era una provocazione rivolta a chi deve far rispettare le normative sulla pesca sportiva, ma dettato da motivi profondi". Il siluro d’Europa, nei piani ittici della regione Lombardia e in quelli dell’Emilia Romagna, è stato catalogato come specie alloctona (non è tipica del luogo dove si trova, ma vi è arrivata in seguito) e quindi la legge impone che non venga reimmesso nelle acque dalle quali viene pescato. Lo stesso trattamento dovrebbe essere riservato ad altri tipi di pesci divenuti ormai comuni nelle acque dei nostri fiumi, la lista ne conta almeno una quindicina. Un problema, quello legato alle specie alloctone, che tocca anche l’associazione CarpFishing Italia, che conta ormai 10 mila iscritti. "Anche per noi - ha spiegato il presidente Giancarlo Benuzzi - ogni volta si pone lo stesso problema. Le carpe rientrano nella "lista nera" degli alloctoni, la legge ci impone di non rimetterle in acqua e poi ci sono dei problemi anche per praticare la pesca notturna". Oltre alle ragioni morali, che impongono a chi pratica la pesca sportiva, di rilasciare il pesce se ne aggiungono altre anche di carattere tecnico-pratico. "Le leggi regionali - ha proseguito Grisendi - prevedono che le specie alloctone catturate non siano reimmesse, ma trasportate in appositi bacini di accoglienza, che ogni provincia deve provvedere a creare. Il pesce raccolto all’interno di questi bacini, che diverranno vere e proprie oasi di naturalistiche sarà oggetto di studio, pesca a pagamento o di commercializzazione verso i mercati ittici, se ce ne sarà domanda. Da qui si deduce che il pesce deve arrivare vivo a questi punti di raccolta, e che quindi il pescato non è obbligato a sopprimerlo come molti pensano". Se per le specie alloctone non è possibile applicare le regole del catch and release (cattura e rilascia) non è nemmeno possibile trasportare le prede nei bacini di accoglienza, visto che né la provincia di Cremona né quella Piacenza ne sono dotate. Per i pescatori, poi, diventerebbe impossibile trasportare esemplari di grandi dimensioni come quello catturato nei pressi di Isola Serafini, nei giorni scorsi, dai componenti del Gruppo Siluro. "Considerando tutto - ha concluso Grisendi - ho fatto ricorso alla mia moralità e alla mia coscienza, che mi vietano di uccidere un animale, e ho ritenuto giusto ed opportuno restituire questo essere vivente al suo elemento naturale: l’acqua".
«Sono ormai parte della fauna locale» Negli altri Stati europei non sono stati presi provvedimenti particolari
Negli altri Stati d’Europa le cose sono molto più semplici. Le leggi non fanno differenza tra specie alloctone o autoctone e resta una libera scelta dei pescatori uccidere i pesci o rilasciarli nelle acque da dove li hanno tirati fuori. Nessun provvedimento particolare è stato preso nei confronti dei siluri, i grossi esemplari ritenuti, da molti, la causa della diminuzione dei pesci tipici del Po. «Non sono le specie alloctone ad aver causato la riduzione della fauna locale - ha sottolineato il presidente del Gruppo Siluri Italia Yuri Grisendi - tutto è nato a causa dell’opera dell’uomo. Non siamo solo noi a dichiararlo, basta leggere qualche stralcio delle leggi regionali e tutto diventa molto più chiaro". Analizzando i documenti stilati dalla Regione Emilia Romagna, in effetti, si legge che: «Molte delle specie comparse nella acque regionali, in tempi più o meno recenti, sono più rustiche ed in grado di colonizzare ambienti in parte degradati dall’attività antropica di quelle autoctone e sono quindi in grado di trarre vantaggio da questo generale peggioramento delle condizioni ambientali». La colpa quindi non sarebbe dei siluri e di tutti quei pesci finiti, a torto o a ragione, nella "lista nera" ma dell’opera dell’uomo. «Spesso, quando siamo sul Po per pescare -ha proseguito Grisendi - puliamo anche le sponde dalla sporcizia che viene lasciata in giro. Non pratichiamo solo la pesca sportiva, ma cerchiamo di fare qualcosa per l’ambiente e per aiutare questo fiume che presenta evidenti segni di incuria e degrado». A dare man forte ai componenti del Gruppo Siluri gli atti del comitato istituzionale che ha indagato i problemi legati alla mancanza di strutture idonee alla risalita del pesce previste, addirittura, già da un Decreto Regio. Infatti già negli anni ‘30 si era pensato di tutelare la libera circolazione dei pesci all’interno dei bacini fluviali. In base agli studi fatti risulta che lo sbarramento costruito a Isola Serafini è una delle cause delle profonde modificazioni negative registrate negli ultimi decenni nei popolamenti ittici del tratto medio alto del fiume Po e dei suoi principali affluenti. «Il problema quindi - ha spiegato Grisendi - nasce a monte e non deriva dalle specie alloctone. Praticando la pesca sportiva sono riuscito a trovare un equilibrio tra sport e rispetto per la natura del pesce insidiato. Per questo la mia moralità e la mia coscienza mi vietano di uccidere un animale e non sarà una legge regionale sulla pesca che mi convincerà, o peggio, mi obbligherà a farlo». Non servirebbero a molto nemmeno le operazioni di sfoltimento delle specie d’importazione previste dalle leggi regionali. Utilizzando le reti di pesca per catturare i pesci alloctoni, infatti, si rischierebbe anche di pescare i pesci tipici della zona «Il fiume - ha commentato Grisendi - diventerebbe un grande cimitero». La guerra ai siluri, secondo i componenti del gruppo, è una guerra infondata. Questi pesci, come tutti gli altri appartenenti alle specie alloctone, fanno ormai parte della catena alimentare del Grande Fiume. «Voler sterminare i giganti del Po sarebbe un po’ come voler sterminare i leoni della savana - hanno spiegato -. I predatori, come tutti gli altri animali, sono parte integrante della catena alimentare e ognuno contribuisce a mantenere le cose nel giusto equilibrio».