PESCA E AMBIENTE Quando c'era il luccio |
Salutavamo alcuni giorni fa due amici in partenza per
l'Irlanda: li attendevano fiumi e laghi molto belli, ma soprattutto il
luccio, predatore dal fascino ineguagliato. Per incontrare l'emozione di
questo pesce forte e solitario ormai non resta che adattarsi
all'emigrazione, perché da noi, in ambiente naturale, il luccio è
praticamente estinto.
Peccato, perché la specie è sempre esistita nelle nostre acque e rappresentava un elemento ottimale di equilibrio naturale. Questo pesce è infatti cacciatore dal metabolismo lento, che seleziona con sagacia le prede più facili e deboli. Quindi non potrà mai lasciare dietro sé distruzione, come avviene sistematicamente con il siluro. Nella nostra terra lo hanno estinto molti fattori sommatisi negli ultimi cinquant'anni. Innanzitutto la distruzione del suo habitat vitale: è pesce da acque lente e profonde, le lanche e le anse del Po erano la sua casa. Purtroppo la canalizzazione del grande fiume, iniziata dopo la guerra, le ha annullate, senza per altro ottenere minimamente quei vantaggi economici, che ne avevano ispirato la realizzazione. Poi noi stessi, come pescatori, abbiamo agito in modo sventato, prelevando oltre il lecito su una specie ittica che, anche in salute, non potrebbe mai essere abbondante, nell'ambiente che la ospita. Infine l'immissione reiterata di predatori alloctoni più forti e voraci ha dato la botta definitiva. Adesso non resta che tenerci il magone per quanto abbiamo perso. Pescare il luccio con gli artificiali era gioco di arte ed esperienza. Qui lo spinning monotono, ripetitivo e casuale serviva a poco. Il nostro predatore era specialista negli agguati, spesso celato tra ostacoli del fondo o della riva: immobile come un ceppo attendeva tra i tronchi sommersi l'arrivo della preda ignara. Pescare l'acqua serviva davvero a poco: ci voleva intuito e conoscenza dei luoghi, e poi fare passare la nostra esca proprio in prossimità di quegli intrighi sommersi, che lo celavano. Quante volte il blocco improvviso del cucchiaio apriva il cuore alla speranza e invece era solo l'aggancio di un legno infradicito dal tempo. E quanti artificiali si perdevano! Ma poi veniva il momento delle testate potenti e delle fughe violente: allora dimenticavi tutto, le mani dolenti e mezze paralizzate dal freddo, le nebbie che ti ammollavano le ossa, il letto caldo abbandonato troppo presto al mattino. Disteso alfine sulla riva, sapevi di avere vinto un re, il signore delle acque. Il luccio selvaggio è un amico che ci manca. Ci manca l'attesa, l'emozione dell'aggancio, la frustrazione delle tante giornate vuote, la tecnica per riuscire a ingannarlo, il suo volto freddo, feroce e rassegnato nella sconfitta. Ci manca soprattutto quella fetta di natura in cui si integrava, fatta di umori, di falasco grondante, di acque lente e velate, di umidità e silenzio. Noi non andremo a cercare il luccio all'estero, dove sono stati più saggi di noi nel conservarlo. Il piacere della pesca non basterebbe infatti a compensare il dolore per quanto stupidamente abbiamo distrutto a casa nostra. |