PESCATORI «NO KILL»
Multati per il «rilascio»
Due metri e 42 centimetri per 102 chilogrammi: un vero e proprio gigante, il siluro che è stato pescato a Piacenza da Yuri Grisendi, presidente del Gruppo Siluro Italia. L'espertissimo pescatore reggiano, già protagonista di numerosissime altre sorprendenti catture, mantenendo fede ad una sua precisa filosofia ha rilasciato la sua preda viva, nel fiume. C'è però una legge, la 11/93, che proibisce ai pescatori che praticano la loro attività nelle acque interne di rilasciare varietà alloctone all'interno di fiumi e torrenti. E fra queste varietà vi sono compresi anche siluri e il comune pesce gatto.

Ma c'è un'attività, quella della cosiddetta pesca non violenta, definita anche come «catch & release» o «no kill» che si sta espandendo sempre di più ed è portata avanti da coloro che pescano per vera e propria passione sportiva, senza alcuna finalità violenta e che mai e poi mai ucciderebbero un pesce. E così può accadere che spesso la legge in vigore non venga rispettata e sono in diversi ad avere visioni e teorie che contrastano con quanto previsto nei regolamenti.

Da ciò che è accaduto nei giorni scorsi nella vicina provincia di Piacenza, è uscito un vero e proprio caso che ora sta sollevando un autentico polverone. Grisendi dopo avere rilasciato l'enorme pesce, vivo, fra le acque del fiume e si è visto rifilare poi, dalle guardie provinciali, una pesante contravvenzione per avere violato quanto previsto dalla legge. Ma lui, che era accompagnato da un suo amico e «collega» di pesca, lo ha fatto proprio con la finalità di protestare contro quanto contenuto in una legge che lui, come altri pescatori, trova del tutto ingiusta.

Si è trattato, probabilmente, del primo caso in Italia di «obiezione di coscienza» in campo ittico. Sulla questione ha organizzato anche una conferenza stampa intraprendendo una vera e propria battaglia. Battaglia che ha avuto subito numerose ripercussioni con diversi interventi e prese di posizioni, sia di politici che di ambientalisti ed esponenti del mondo della pesca.

Troppi «stranieri» vivono nel Po
Il Grande fiume è sempre più popolato da specie provenienti da altre zone
E' una vera e propria invasione quella che i pesci siluro stanno portando avanti fra le acque del Grande fiume. Lo ha ribadito anche ieri, con un'interpellanza inviata alla Giunta regionale, il consigliere di Forza Italia Luigi Francesconi che ha voluto lanciare l'allarme sulla presenza dei pesci siluro nel Po, sottolineandone la dannosità per la fauna ittica, già duramente colpita dalla scarsità d'acqua degli ultimi mesi.

Il consigliere, ricordando che lo scorso 14 agosto è stato pescato, a Piacenza, un esemplare di 2 metri e 42 centimetri per 102 chilogrammi, ha chiesto alla Giunta se sia previsto un «censimento» dei pesci siluro invitandola ad assumere provvedimenti per frenarne lo sviluppo e favorirne la riduzione. Ha inoltre chiesto quali sono le politiche della Regione per la tutela delle specie ittiche autoctone.

Ed in effetti in questi anni il numero dei siluri nel fiume è cresciuto a dismisura. Il Po allo stesso tempo sta assumendo una popolarità probabilmente mai avuta prima, per le sue continue bizze ma anche per gli aspetti che negli anni ne hanno profondamente alterato tanto la morfologia, quanto l'ambiente e l'ecosistema. Le specie ittiche autoctone, in massima parte sono pressoché scomparse a favore di quelle alloctone che si stanno invece espandendo a dismisura. Un tempo sentire parlare di alborella, anguilla, barbo comune, barbo canino, bottatrice, carpa, cavedano, cheppia, cobite, ghiozzo, cò, gobione, lampreda, lasca, latterino, luccio, muggini, nono, orata, passera, persico reale, pigo, rovella, sanguinerola, savetta, scardola, scazzone, spigola, spinarello, storione, tinca, triotto, trota fario e vairone era una cosa del tutto comune. Per molti vecchi pescatori questi nomi rievocano ricordi speciali, spesso suggestivi della loro gioventù.

Ma si tratta, per l'appunto, di ricordi. Di molte delle specie citate, fra le acque del fiume non esiste più nulla. Tante sono ormai scomparse, altre sono rarissime, altre ancora stanno calando a dismisura. Un esempio su tutti: l'alborella che fino a pochi anni fa era uno degli ospiti autoctoni che più frequentemente si potevano incontrare nel Po, è ormai da annoverare fra le rarità. Al suo posto, ma anche al posto di tante varietà che nel fiume hanno sempre vissuto stabilendovi la loro «casa», oggi si incontrano pesci siluro, cefali, ma anche gamberi della Louisiana (detti gamberi «killer») e, poco più in là, sulle rive del fiume la temibile nutria divenuta un vero e proprio flagello di argini, sponde di canali e coltivazioni. Tutte specie alloctone, che nulla hanno a che vedere con il nostro Paese, giunte da lontano ma capacissime ad ambientarsi anche nei nostri territori di cui sono ormai divenuti i «padroni» incontrastati.

Ma a che cosa è dovuto questo calo vertiginoso delle specie autoctone, a favore degli ospiti «stranieri». Sono in molti a dire che tutto questo è stato causato proprio dalle specie giunte da lontano che avrebbero fortemente compromesso l'ecosistema locale, soprattutto attraverso la loro azione di predazione. Ma c'è anche chi la pensa diversamente come gli esponenti del Gruppo Siluro Italia secondo cui la causa principale della scomparsa delle specie ittiche autoctone è da attribuire alle cattive condizioni delle acque (ed in minima parte delle specie alloctone) dovute all'inquinamento industriale e zootecnico, agli sbarramenti, alle canalizzazioni e al bracconaggio. Un argomento che senz'altro si presta a mille considerazioni, interpretazioni e prese di posizione.

Sta di fatto che il fiume sta andando incontro, nel bene e nel male a molteplici mutamenti, sotto tanti punti di vista, compreso quello della fauna ittica che vive fra le sue acque. E il problema dell'espansione dei siluri è senz'altro uno dei temi più caldi che attualmente investono la realtà del maggiore dei corsi d'acqua italiani


Il Resto del Carlino RELa Gazzetta di Parma 9