Come ti piazzo la boa!
Testo e foto di Yuri Grisendi
Eccoci ancora qui a parlare di questa straordinaria tecnica che è quella della boa; l’ultima volta abbiamo visto sommariamente le sue potenzialità, ora cercheremo insieme di capire quando, dove e soprattutto come posizionare questi strani appigli "in mezzo al fiume".
Ho messo tra virgolette le parole in mezzo al fiume, in quanto non dovremo mai, e sottolineo mai, posizionare le boe causando ostacolo o situazioni di pericolo per la navigazione delle altre imbarcazioni; le nostre insidie dovranno essere collocate sempre sulla sponda indicata dalla freccia rossa della cartellonistica fluviale, e meglio se all’interno di anse formate da punte o pennelli; posti ben riparati sia dal passaggio di natanti, sia anche dall’estenuante corrente principale del Po, che c’impedirebbe peraltro di pescare correttamente.
Cartellonistica fluviale La navigazione commerciale e da diporto, è consentita nel Po per un lungo tratto, a natanti fino a 1.000 tonnellate, per questo è facile che transitino sul posto da noi scelto, sia enormi chiatte commerciali, sia imbarcazioni d’altri pescatori, i quali ignari delle lenze in tensione o delle boe poco visibili, potrebbero seriamente incorrere in situazioni di pericolo. Per indicare alle imbarcazioni quali sono le sponde con maggior fondale, ossia la rotta da seguire, lungo l’argine sono presenti particolari cartelli romboidali, metà rossi e metà bianchi, che indicano con chiarezza da quale parte dobbiamo transitare, dalla parte bianca avremo via libera, dalla parte rossa potremmo invece incontrare dei pericoli; posizionando le boe dalla parte contrassegnata dalla freccia rossa, saremo sicuri di non essere d’intralcio alla navigazione, l’importante è usare sempre e in ogni modo boe regolamentari ben visibili sia di giorno sia di notte. |
Come la volta scorsa, ho voluto preparare questa sessione di pesca appoggiandomi ad un pescatore molto esperto in questo tipo di sistema: ho avuto il piacere di pescare con il bravissimo giornalista in materia di pesca al siluro, della rivista "Dé Roofvis", l’olandese Lucas van der Geest; il quale era qui a pescare sul Po, proprio per preparare un articolo sullo sviluppo del siluro nel nostro ben amato fiume.
Avevo conosciuto Lucas, un anno fa, sempre grazie a quel favoloso mezzo di comunicazione che è internet, infatti, è webmaster di un grosso sito in lingua olandese dedicato alla pesca (http://www.meervalstudiegroep.com); mi ricordo ancora la sua prima E-mail, che mi chiedeva chiarimenti su un fatto che gli era accaduto venendo a pescare in Italia: mi chiedeva molto rammaricato, come mai rispetto alle 22 catture fatte in una settimana in deriva a clonk, tre anni fa, tempo in cui era venuto per la prima volta a pescare sul Po, quest’anno aveva mestamente "cappottato", andando in bianco su tutti gli hot spots che aveva allora imparato.
Gli avevo risposto chiaramente, che ormai anche qui in Italia, come in Spagna ed in Francia, la cuccagna era finita, ma siccome morto un Papa se ne fa subito un altro, se il clonk non da più risultati, vuol dire che è giunta l’ora di cambiare le carte in tavola; lui stesso mi aveva raccontato dell’enorme successo che aveva ottenuto pescando con la tecnica della boa in Ebro e in Saona, allora gli dissi: "Cosa aspettiamo a provare ad applicarla anche qui nel Po?"
E così, ormai un anno da questo nostro primo scambio d’esperienze, eccoci finalmente qua insieme a scegliere su quale spot calare le zavorre che ancorano al fondale le nostre boe; visti i risultati della volta scorsa non ci fu difficile individuare una zona del fiume adatta alla nostra sessione notturna: un lungo pennello posto sul lato destro del fiume, deviava, eseguendo alla perfezione il compito assegnatogli, la corrente verso sinistra, creando così al suo interno un vasto e profondo lago, con acqua molto limpida perché più decantata, separato dal grosso del fiume da una leggera "schiena d’asino" del fondale sabbioso, che faceva salire il fondo a 3- 4 metri.
Unico difetto della postazione, era rappresentato dall’acqua eccessivamente stagnante all’interno del lago, situazione di sicura mancanza d’ossigeno disciolto, visto anche le elevate temperature di essa (22-25° C), la precarietà dell’ossigeno induce sicuramente i siluri, molto attenti a questa caratteristica, a rimanere in zona per breve tempo, limitando così al minimo la possibilità di incontrare le nostre esche.
Questo dato c’indicava chiaramente di posizionare le lenze sulla "schiena d’asino" formata dalla diversità di correnti, ossia nella zona limite tra il corso principale e l’acqua del lago, zona sicuramente ben ossigenata, grazie al ricambio d’acqua, ma allo stesso tempo, ideale per mantenere le esche in verticale con non più di 100 grammi di piombo: l’uso di troppo zavorra sul terminale rende innaturale il nuoto dell’esca, ed il siluro gran sospettoso, intuisce subito l’inganno, rendendo vano il nostro tentativo di insidiarlo.
Nel caso l’acqua fosse stata abbastanza alta da permetterle di raschiare la cima del pennello e riversarsi tumultuosamente nel lago, sicuramente un buon posto sarebbe stato piazzare le boe ad un metro di distanza da questa continua miscelazione tra aria e acqua: situazione da tenere presente nei prossimi mesi quando, passato il gran caldo, inizieranno le piogge che preannunciano l’arrivo dell’autunno.
Il fondale era perfetto per il giusto funzionamento della tecnica, infatti, il siluro entra in caccia a galla nelle ore notturne, prediligendo i bassi fondali per scagliare i suoi attacchi, in quanto com’è facile capire, una preda ha meno possibilità di fuga se viene a trovarsi intrappolata in un basso volume d’acqua, ed il siluro attaccando dal basso verso l’alto può essere sicuro di non sbagliare l’occasione: per facilitargli il compito posizionammo le esche a portata di bocca, ossia alla profondità di 50-100 centimetri.
L’uso dell’ecoscandaglio diventa essenziale per analizzare la morfologia del fondale, così da localizzare con esattezza dove ancorare le boe, tramite una semplice corda di nylon e un parallelepipedo di cemento, dal peso minimo di 8-10 kg: la boa al momento dell’attacco non deve assolutamente spostarsi, altrimenti rischieremmo che il filo di collegamento non arrivi al carico di rottura, e perciò non si spezzi, facendoci perdere la preziosa ferrata.
Per facilitare il successivo fissaggio della lenza alla boa, è consigliabile legare sulla seconda, uno spezzone di robusto dacron di circa un metro, in modo da allontanare innanzitutto il punto di pesca dalla corda d’ormeggio….non si sa mai…sul capo libero dello spezzone di dacron, posizioneremo una girellina con moschettone, sostenuta da un piccolo galleggiante, in modo d’averla sempre in superficie e a portata di mano, anche per successivi riposizionamenti dovuti a delle partenze.
A questo punto prendiamo la canna, e dopo aver legato sulla girella con moschettone della nostra montatura alcuni decimetri di nylon sottile dal carico di rottura di 10-12 kg (0,30-40 mm), e creato un cappietto sull’altro capo, portiamo con la barca la lenza fino ad agganciare quest’ultimo alla girellina posta sullo spezzone di dacron; infine mettiamo da riva in tensione la lenza con delicati giri di mulinello, e vedrete che il piombo interposto a metà del finale porterà a lavorare il finale stesso in maniera perpendicolare alla madre lenza in tensione, formando una perfetta T.
Quest’apparente semplice lavoro, che bisogna eseguire ovviamente per ogni canna sulla rispettiva boa, non è poi così semplice se non si è in almeno tre persone: uno sulla riva che gestisce l’uscita della lenza e che metterà in tensione, uno alla guida della barca, e uno sulla prua alla barca che attaccherà la lenza; due persone esperte possono però comodamente farlo da sole, andando insieme prima ad agganciare la lenza alla boa, e poi con cautela mettendo in tensione l’insidia tornando a riva.
Nel primo pomeriggio, avevamo gia finito il nostro posizionamento per quello che riguardava le canne, e non ci restò che cominciare a montare la tenda, con tanto di telo di copertura impermeabile, siccome all’orizzonte enormi nuvoloni neri, non preannunciavano niente di buono.
Alle diciassette, mentre eravamo comodamente spaparanzati sui lettini, ecco il primo attacco, il campanellino suonava all’impazzata, la canna era piegata paurosamente in avanti fino a che la brusca rottura della linea sottile, la riportò violentemente in posizione verticale: era il momento di ferrare!
Recuperai lenza con veloci giri di mulinello, per cercare di entrare in contatto il più possibile con il pesce, e via ad una gran ferrata……liscio…...accidenti!
Beh, può capitare, fa parte della pesca!
Con un po’ di tristezza, riportammo la lenza fuori e riposizionammo l’insidia, appena tornati a riva ecco dopo poco un’altra partenza, e di nuovo liscio; a mezzanotte avevamo gia accumulato cinque partenze e cinque "ranzate", ma che cavolo stava accadendo?
Era chiaro che sbagliavamo in qualcosa, ma che cosa?
Ci volle una bella mezz’ora di discussione e riepilogo delle varie fasi della messa in opera di tutto il sistema, per capire cosa non andava sulle nostre montature, finché ecco l’errore: per sbaglio avevo preso dalla cassetta una bobina di nylon, per creare la linea di collegamento tra lenza madre e boa, dal carico di rottura di 7 kg; era chiaro che il filo spezzava prima che il siluro riuscisse ad ingoiare correttamente l’esca…che stupido!
Con non poca fatica, visto la pioggerellina ed il buio pesto che accompagnò tutto il nostro lavoro, cambiammo tutte le linee di collegamento: un lavoro faticoso, ma sicuramente indispensabile, e che si rivelò talmente positivo, che nelle rimanenti poche ore che ci separavano dall’alba, riuscimmo a salpare due bei siluri, questa volta ben allamati.
Il giusto posizionamento della boa, la giusta presentazione dell’esca in superficie, il giusto carico di rottura della linea sottile, e non per ultima la giusta tensione della lenza, sono elementi importantissimi per la riuscita di questa tecnica, niente deve essere lasciato al caso, pena la mancanza assoluta di risultati; è vero il siluro si può rivelare in alcuni casi un predatore opportunista, ma vi assicuro che il più delle volte, sta molto attento a ciò che sta per mangiare, e se qualcosa è fuori della normalità, cui in un ambiente naturale è ovviamente abituato, state pur sicuri che le vostre bellissime esche saranno snobbate, come se fossero infette.