VIGEVANO. Il Ticino è ridotto ai minimi storici e i
vigevanesi lo disertano. Anche perchè l'acqua che è rimasta
è così sporca che farci il bagno è vietato. Allontanandosi
dal fiume, la situazione peggiora: i campi combattono contro
una siccità di cui non si vede la fine e gli agricoltori
chiedono lo stato di calamità. Per chi avesse ancora dei
dubbi, la "tropicalizzazione del clima" è tutto
questo.
Campi arsi dalla sete, fiumi ridotti a un rivolo d'acqua,
raccolti che in autunno non faranno felici gli agricoltori
lomellini. La siccità sta facendo sentire i suoi effetti a
tutte le latitudini: da un lato, i "tisinatt"
vigevanesi assistono alla morte lenta di quel fiume che per
una vita ha significato svago e amore per la natura;
dall'altro, l'Unione agricoltori ha chiesto alla prefettura lo
stato di calamità naturale per le zone della Lomellina e
dell'Oltrepo pianeggiante. Scene di ordinaria arsura in questo
luglio che farà piangere su più fronti, a cominciare dai
raccolti che costringerà i produttori agricoli a versare più
di una lacrima. Il quadro del disastro ambientale, provocato
dalle scarse o inesistenti precipitazioni, viene dipinto da
Giancarlo Aguzzi, memoria storica e presidente
dell'associazione "Amici del Ticino".
«Non vediamo la fine di questo degrado - lamenta -. Con la
mancanza d'acqua emerge un'infinita serie di problemi che
difficilmente avranno soluzione».
Lo scenario individuato da Aguzzi, un vigevanese che come
migliaia di altri ha nel cuore la sorte del "suo"
fiume, è malinconico: inquinamento indiscriminato, immondizia
abbandonata sulle spiagge, barche desolatamente attraccate
alle darsene, pesci-siluro che divorano le poche specie
ittiche rimaste in vita.
«E' la siccità peggiore che ricordi - prosegue Aguzzi -. Però,
non è tanto questo a farci star male, quanto il degrado
progressivo dell'ambiente naturale che abbiamo frequentato per
una vita».
Il pensiero degli "Amici del Ticino", un migliaio di
soci impegnati a mantenere in vita un simbolo di Vigevano, va
alle famiglie: «Una situazione simile non incentiva genitori
e figli a trascorrere il tempo libero sulle sponde del fiume.
E' una terra di nessuno dove diventa sempre meno piacevole
trascorrere le giornate d'estate».
Secondo Aguzzi, le famiglie ducali che scelgono di vivere il
fiume sono sempre meno: al loro posto, soprattutto immigrati
che trovano sulle spiagge del Ticino il refrigerio che tutti
gli altri, ormai, vanno a cercare al mare. Ma il problema è
un altro: il disamore dei vigevanesi per il loro fiume ne sta
decretando il progressivo degrado.
«Ci sono punti, come dal ponte al Boschetto, praticamente
abbandonati - dice Aguzzi -. Va un po' meglio al parco
Robinson, controllato dai nostri volontari. E poi perché le
istituzioni si disinteressano del fiume? Nessuno si assume la
responsabilità di vigilare e, se necessario, di intervenire».
Infine, un accenno all'acqua del Lago Maggiore: «Perché non
aprono le chiuse?». Siccità deleteria anche per i
risicoltori lomellini, che venerdì pomeriggio, alle Rotonde
di Garlasco, hanno ascoltato il grido di dolore di Giovanni
Desigis, presidente dell'Unione agricoltori di Pavia. «I
fossi sono vuoti e in autunno il raccolto non sarà certo
memorabile». L'eccezionalità della situazione ha spinto
l'Unione agricoltori a chiedere lo stato di calamità: «E'
partita la richiesta ufficiale. La prefettura ha recepito il
nostro disagio». Ai consorzi irrigui (Est Sesia, Canale
Villoresi e altri) è stato poi proposto di unirsi per
fronteggiare la situazione: «Si stanno dando da fare, così
come si svolgono riunioni continue con le Autorità di bacino
del Lago Maggiore».
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Il Ticino al ponte di Vigevano: mai come quest'anno la
siccità ha colpito
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