mercoledì 9 gennaio 2002
 
Grido di dolore per il Fiume Azzurro
L'allarme dei "Tisinatt": l'incuria
è peggio della grande siccità
Non c'è tregua per la sete dei campi: gli agricoltori dal prefetto chiedono lo stato di calamità

VIGEVANO. Il Ticino è ridotto ai minimi storici e i vigevanesi lo disertano. Anche perchè l'acqua che è rimasta è così sporca che farci il bagno è vietato. Allontanandosi dal fiume, la situazione peggiora: i campi combattono contro una siccità di cui non si vede la fine e gli agricoltori chiedono lo stato di calamità. Per chi avesse ancora dei dubbi, la "tropicalizzazione del clima" è tutto questo.
Campi arsi dalla sete, fiumi ridotti a un rivolo d'acqua, raccolti che in autunno non faranno felici gli agricoltori lomellini. La siccità sta facendo sentire i suoi effetti a tutte le latitudini: da un lato, i "tisinatt" vigevanesi assistono alla morte lenta di quel fiume che per una vita ha significato svago e amore per la natura; dall'altro, l'Unione agricoltori ha chiesto alla prefettura lo stato di calamità naturale per le zone della Lomellina e dell'Oltrepo pianeggiante. Scene di ordinaria arsura in questo luglio che farà piangere su più fronti, a cominciare dai raccolti che costringerà i produttori agricoli a versare più di una lacrima. Il quadro del disastro ambientale, provocato dalle scarse o inesistenti precipitazioni, viene dipinto da Giancarlo Aguzzi, memoria storica e presidente dell'associazione "Amici del Ticino".
«Non vediamo la fine di questo degrado - lamenta -. Con la mancanza d'acqua emerge un'infinita serie di problemi che difficilmente avranno soluzione».
Lo scenario individuato da Aguzzi, un vigevanese che come migliaia di altri ha nel cuore la sorte del "suo" fiume, è malinconico: inquinamento indiscriminato, immondizia abbandonata sulle spiagge, barche desolatamente attraccate alle darsene, pesci-siluro che divorano le poche specie ittiche rimaste in vita.
«E' la siccità peggiore che ricordi - prosegue Aguzzi -. Però, non è tanto questo a farci star male, quanto il degrado progressivo dell'ambiente naturale che abbiamo frequentato per una vita».
Il pensiero degli "Amici del Ticino", un migliaio di soci impegnati a mantenere in vita un simbolo di Vigevano, va alle famiglie: «Una situazione simile non incentiva genitori e figli a trascorrere il tempo libero sulle sponde del fiume. E' una terra di nessuno dove diventa sempre meno piacevole trascorrere le giornate d'estate».
Secondo Aguzzi, le famiglie ducali che scelgono di vivere il fiume sono sempre meno: al loro posto, soprattutto immigrati che trovano sulle spiagge del Ticino il refrigerio che tutti gli altri, ormai, vanno a cercare al mare. Ma il problema è un altro: il disamore dei vigevanesi per il loro fiume ne sta decretando il progressivo degrado.
«Ci sono punti, come dal ponte al Boschetto, praticamente abbandonati - dice Aguzzi -. Va un po' meglio al parco Robinson, controllato dai nostri volontari. E poi perché le istituzioni si disinteressano del fiume? Nessuno si assume la responsabilità di vigilare e, se necessario, di intervenire». Infine, un accenno all'acqua del Lago Maggiore: «Perché non aprono le chiuse?». Siccità deleteria anche per i risicoltori lomellini, che venerdì pomeriggio, alle Rotonde di Garlasco, hanno ascoltato il grido di dolore di Giovanni Desigis, presidente dell'Unione agricoltori di Pavia. «I fossi sono vuoti e in autunno il raccolto non sarà certo memorabile». L'eccezionalità della situazione ha spinto l'Unione agricoltori a chiedere lo stato di calamità: «E' partita la richiesta ufficiale. La prefettura ha recepito il nostro disagio». Ai consorzi irrigui (Est Sesia, Canale Villoresi e altri) è stato poi proposto di unirsi per fronteggiare la situazione: «Si stanno dando da fare, così come si svolgono riunioni continue con le Autorità di bacino del Lago Maggiore».



Il Ticino al ponte di Vigevano: mai come quest'anno la siccità ha colpito

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