MARTEDÌ, 04 DICEMBRE 2001
Tempi duri per i cinghiali. Il Tar ha bloccato mercoledì
scorso il ricorso della Lac, la Lega per l'abolizione della caccia, che
chiedeva di fermare l'abbattimento degli animali alla Mandria. Il
giudice non ha nemmeno voluto esaminarlo nel merito, perché il piano
venatorio del parco si rifà a quello provinciale, realizzato a sua
volta in base alla legge regionale 9 del 2000. Via libera quindi
all'eliminazione di settecento capi, una minima quota, peraltro, di
quelli che scorrazzano nell'area protetta e nei suoi dintorni. Il
problema è che di cinghiali, in tutto il Piemonte, non ce n'è ormai
più l'ombra. Quelli che ogni anno causano danni per oltre un miliardo e
mezzo alle colture agricole sono animali derivanti da frenetici incroci
con maiali domestici e selvatici, porcastri secondo la definizione
scientifica, che nulla hanno più del piatto preferito da Obelix. E che
oltretutto si riproducono con la velocità dei roditori: «Una femmina
di sei mesi, che già pesa una quarantina di chili — si mette le mani
nei capelli Walter Perini, responsabile dei guardiaparco della Mandria
— può figliare un paio di volte l'anno, quattrocinque cuccioli la
prima volta, tra marzo e maggio, setteotto la seconda, il mese
prossimo». Una crescita esponenziale e danni sempre più pesanti.
Che già ci fossero nell'antichità, i cinghiali in Piemonte, è fuor di
dubbio. Erano le prede preferite, e meno difficili da colpire, dai
cacciatori della casa reale. Ma a fine Ottocento erano talmente
diminuiti che si decise l'immissione di nuove specie incrociate dalle
montagne balcaniche. Dove però esistevano ed esistono ancora i grandi
predatori, l'orso e il lupo, assenti, almeno come avversari naturali —
i lupi sulle Alpi occidentali sono ancora troppo scarsi — nelle aree
del Piemonte in cui i porcastri invece dilagano. Un'autentica calamità
per le campagne piemontesi, che i coltivatori denunciano da tempo. Ma il
pericolo esiste anche per il traffico. Sei mesi fa, nel Vercellese, una
donna è rimasta uccisa in uno scontro fra la sua auto e un animale
entrato in autostrada. E in quella provincia il Tar ha invece accolto, a
settembre, il ricorso della Lac: caccia vietata, a causa della
formulazione non sufficientemente chiara della legge.
Nessun dubbio in provincia di Torino, spiega la direttrice del parco
della Mandria, Stefania Grella: «Un censimento degli ungulati, proprio
a causa della loro prolificità, sarebbe del tutto inattendibile. Noi
quindi abbiamo formulato il nostro piano in base ai danni. E il Tar non
ha ritenuto di intervenire. Adesso possiamo procedere con la nostra
opera di contenimento che, sia chiaro, viene realizzata esclusivamente
da "selecontrollori", cacciatori formati ad hoc e accompagnati
da una guardia provinciale». Intanto si è autorizzata la costruzione
di una rete lunga quasi tre chilometri, ben profonda nel terreno, per
difendere il campo da golf dei Roveri dalle incursioni dei cinghiali.
Centocinquanta milioni all'anno di guasti, soprattutto al tappeto
erboso, che non posono essere risarciti con i fondi regionali.
Ma se il via libera del tribunale amministrativo soddisfa gli
agricoltori, i biologi vedono confermato il loro allarme per la presenza
di quelli che la rivista Piemonte Parchi definisce gli «alieni di casa
nostra». Dagli scoiattoli grigi alle nutrie, dai mufloni ai daini, fino
a un lungo elenco di pesci che comprende il siluro, il pesce gatto, il
lavarello. Animali esotici che nulla hanno a che fare con le popolazioni
locali, introdotti spesso per scopi venatori, altre volte per tentare
malintesi controlli biologici su specie diverse, o ancora per la
liberazione in natura di bestie più o meno da compagnia importate da
altri paesi. Non è tanto un concetto di purezza della specie, ma il
rispetto di un ambiente naturale che dovrebbe essere conservato senza
modificare la composizione del complesso di flora e fauna. Ma per molte
associazioni animaliste, che spesso accusano i responsabili delle aree
protette di cedere al ricatto dei cacciatori, l'idea sembra del tutto
priva di senso.